Oggi mi piacerebbe trattare un argomento che di recente ha avuto un notevole impatto nei contesti educativi, sociali e quotidiani. Mi riferisco al fenomeno del bullismo, nonostante se ne parli tanto mi viene da pensare che non sia realmente considerato come situazione preoccupante.
Il Bullismo è un fenomeno tendenzialmente di gruppo che vede come protagonisti bambini e ragazzi con ruoli diversi. Di fatto nella dinamica di gruppo si delineano tali ruoli, che notoriamente si articolano tra coloro che ricoprono il ruolo di :
Il bullo: sono coloro che agiscono con prepotenza su un altro compagno/a, preso di mira per qualche caratteristica come ad esempio il colore della pelle, orientamento sessuale, forte sensibilità, o altre caratteristiche che risultano in qualche modo dissonanti. Solitamente è colui che ricopre il ruolo di leader del gruppo, dunque tendenzialmente considerato il più forte psicologicamente e/o fisicamente.
I sostenitori dei bulli: coloro che solitamente non sono riconosciuti più di tanto nel gruppo dei pari, e che per acquisire maggior rilevanza sociale tendo a operare un rinforzo dell’azione dei bulli sostenendolo.
La vittima: solitamente presenta qualche elemento di “diversità- fragilità”, rispetto agli altri componenti del gruppo.
Vorrei soffermarmi su quest’ultimo punto, in quanto le vittime di bullismo potremmo considerale secondo due focus. Ovvero da un lato le vittime propriamente dette che sono oggetto delle diverse forme di bullismo e che presentano con frequenza significativamente superiore, rispetto ai coetanei, disturbi come: problemi del sonno, enuresi, dolori addominali, mal di testa, vissuti emotivi di profonda tristezza. Le vittime di bullismo presentano sintomi ansiosi in proporzioni 3 o 4 volte superiori alle non vittime (Buccoliero, Maggi 2008). Le ricerche dimostrano, che in casi di forte radicalizzazione di comportamenti vessatori e di bullismo in generale, si rileva un rischio elevato di sviluppare sintomi depressivi e ideazione suicidaria. Ma paradossalmente abbiamo dall’altro lato anche lo stesso bullo che presenta rischi psicologici, dunque da colui che apparentemente è il vincitore di questa modalità totalmente disfunzionale di appropriarsi, detenere e gestire il potere all’interno del gruppo (Buccoliero, Maggi 2008). Ovviamente tali situazioni non vanno ricondotte, tout court a tutti gli episodi di aggressività o prepotenza che si possono verificare solitamente tra i ragazzi, in quanto esse rientrano più in generale nei conflitti interpersonali che possono verificarsi anche con frequenza, magari in specifiche situazioni o comunque legate a una modalità di conoscere se stesso e gli altri, di imparare a misurare i propri limiti nei rapporti con l’altro. La conflittualità sana non va ovviamente interpretata in senso negativo ne tanto meno evitata, ma colta nella sua potenzialità di momento evolutivo di crescita della personalità del bambino, va dunque gestita e risignificata in modo opportuno. Il bullismo mentre è un problema di vaste proporzioni che come sostenuto da Pellai rivela un profondo “vuoto educativo”, in riferimento ad una fragilità dei legami che gli adulti di riferimento sempre più spesso rimandano nelle pratiche educative e relazionali, assistiamo all’insinuarsi del pericoloso ed autolesionistico ruolo idealizzato del bullo che in modo maldestro occupa uno spazio non suo(Pellai), dove il suo “potere” è in realtà una sua grande debolezza (Buccoliero, Maggi 2008). A partire da tali riflessioni su ruoli e funzioni, e sulla complessità che il fenomeno porta con sè è bene ricordare che prioritariamente vanno attivati percorsi di sensibilizzazione e prevenzione che aiutino i minori, ma anche gli adulti a riconoscere ed arginare tale fenomeno.
Dott.ssa Valentina Valletta